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Il vizio di crederci Dio PDF Stampa E-mail

17 Dicembre 2022

 Da Comedonchisciotte del 14-12-2022 (N.d.d.)

Ci viene facile dividere le cose tra naturali e artificiali. La divisione è sicuramente utile, ci permette ad esempio di distinguere una piramide rovinata da una collinetta. Se guardiamo bene, la differenza sta nell’origine: se qualcosa è stata costruita dall’uomo o è comunque conseguenza dell’attività umana è artificiale, altrimenti è naturale. La piramide è stata costruita dagli operai del faraone, la collinetta da forze geologiche. Ma anche un paesaggio può essere artificiale, anzi, nel nostro mondo, quasi sempre lo è, per non parlare della  maggior parte delle cose che ci circondano. Tuttavia l’uomo non è l’unico animale a modificare la natura per il proprio tornaconto, i castori costruiscono le dighe, le termiti i termitai, sono moltissimi gli animali che costruiscono artefatti e nessun animale, nessuna pianta, nessun essere vivente lascia il mondo esattamente com’era prima della sua apparizione, tutti modificano qualcosa, per quanto piccola. Tuttavia noi chiamiamo artificiali solo le modifiche fatte dall’uomo. Le vespe che costruiscono un nido di mirabile simmetria rientrano nel naturale. Se però immaginiamo una razza di extraterrestri che arrivino sulla terra a bordo di un’astronave, anche se li immaginiamo fatti esattamente come una vespa, quell’astronave sarà qualcosa di artificiale, di costruito, qualcosa che esula dalla natura. Perché? Cos’è che differenzia in questo ambito un favo di vespe da un’astronave costruita da vespe spaziali? La risposta più comune a questa domanda è che gli oggetti artificiali sono costruiti con intelligenza e consapevolezza per raggiungere uno scopo, mentre quelli naturali sono frutto di una catena di cause cieche e automatiche che non hanno una mente retrostante che concepisce uno scopo. Naturalmente attribuiamo intelligenza e consapevolezza pressoché esclusivamente alla specie umana, di qui la distinzione tra tutto ciò che è umano (artificiale) e tutto ciò che non lo è (naturale). […]

Naturalmente c’è anche chi va più in là e ricollega l’artificialità degli oggetti costruiti dall’uomo a qualcosa di più di mente, intelligenza e consapevolezza  e tira in ballo questioni davvero metafisiche: l’uomo è diverso da tutte le altre creature in quanto dotato di “anima” che si ricollega ad una entità trascendente il mondo fisico: questa differenziazione di fondo porta l’umanità a staccarsi decisamente dalla natura e a farne qualcosa d’altro trasmettendo questa alterità anche ai prodotti della propria attività cui ancora più facilmente, in questa concezione, possiamo dare il nome di artificiali. Questo modo di pensare compie un passo ulteriore rispetto a intelligenza e consapevolezza nel distaccare l’uomo dalla natura, ma sempre nella stessa direzione. Tipicamente le religioni percorrono questa via. Resta comunque il fatto che definire concetti come mente, intelligenza e consapevolezza in maniera precisa e operativamente valida non è affatto semplice. Se siamo quasi sempre disposti ad attribuire una certa intelligenza e una certa consapevolezza al nostro cane, difficilmente saremmo disposti ad ammettere che il fatto che abbia nascosto un osso in una buchetta faccia dell’insieme osso/buca un oggetto artificiale, una sorta di magazzino, mentre attribuiremmo senz’altro la qualifica di artificiale ad un tesoro sepolto che certo non sta lì per cause naturali. Quindi possiamo concludere che nei casi estremi è facile distinguere: quasi tutti sono d’accordo nell’attribuire consapevolezza e intelligenza ad un uomo, ma non ad una pietra. Tuttavia esistono infiniti casi intermedi nei quali, se ci pensiamo attentamente, risulta molto più difficile prendere una decisione sicura. In altre parole la consapevolezza e l’intelligenza funziona più come un continuum con molti livelli che come un sistema tutto o nulla.

Affrontando il problema da un’angolazione leggermente diversa, dobbiamo infine ammettere che le pur straordinarie consapevolezza e intelligenza umane sono comunque frutto di un’evoluzione naturale. In altre parole, anche l’uomo è un animale che si è evoluto su questo pianeta esattamente come tutti gli altri animali. Perché dunque dovremmo considerare naturale la capacità che ha acquisito la vespa di costruire favi a celle esagonali mentre sarebbe artificiale la capacità umana di costruire un coltello scheggiando un’ossidiana? In fondo sono capacità acquisite con un’analoga catena evolutiva, per di più a partire da un’origine comune e un antenato comune rintracciabile andando abbastanza indietro nel tempo. Semplicemente approfondendo un poco, alla buona, senza laurea in filosofia, vediamo che le distinzioni che a prima vista appaiono così nette, tendono ad attenuarsi. D’altra parte, coloro che percorrono la strada metafisica, devono postulare l’intervento di un’entità divina che avrebbe ad un certo punto interrotto la semplice catena dell’ evoluzione naturale facendo della specie umana qualcosa di completamente diverso da tutti gli altri abitanti del pianeta: la Bibbia, per esempio, nella genesi attribuisce apertamente alla specie umana, dotata dal creatore di libero arbitrio a differenza di ogni altra creatura, il possesso e la signoria su tutte le specie. Certamente ciò solletica l’orgoglio di specie, ma resta un articolo di pura fede, mancando qualsiasi indizio dell’esistenza di una tale interruzione evolutiva che rimane un’ipotesi ad hoc creata apposta per salvare la tesi. In conclusione, in un senso più profondo, non possiamo che considerarci parte della natura assieme a tutti i nostri prodotti anche se, ovviamente la distinzione tra naturale e artificiale è utile per tutti i fini pratici. Il fatto che anche noi siamo “naturali” non significa in nessun modo che non abbiamo il potere o la volontà di distruggere le altre specie o anche la nostra stessa specie, di essere insomma dannosi o perfino esiziali a noi stessi o agli altri in base alla nostra natura o alle scelte che facciamo. L’ideologia “verde” che era partita come un movimento di controcultura, ha finito negli ultimi anni per essere addomesticata e presa in prestito da settori molto potenti della società ed è stata trasformata attraverso anni di propaganda nell’ideologia ortodossa dominante (e direi anche prepotente) che conosciamo oggi. Le rivendicazioni perfettamente condivisibili degli inizi hanno finito per essere trasformate in uno strumento di potere sempre più estremista che, invece di indirizzarci verso uno sviluppo più sano e sostenibile dell’umanità, ha finito per considerare l’uomo stesso come il “problema” del pianeta e il fine verso il quale sono indirizzati i nostri sforzi è diventato la “salvezza” del pianeta piuttosto che la salvezza dell’umanità sul pianeta, quasi avessimo dimenticato che noi non siamo “il pianeta” e tantomeno “Dio”, ma l’umanità. Se l’umanità non si prende cura di sé stessa, certamente nessun altro lo farà. In un contesto dove la scienza è sempre più strettamente controllata dal potere attraverso i finanziamenti ed il controllo totale dei mezzi di informazione, meraviglia poco che le indagini scientifiche possano essere volontariamente distorte al fine di giungere ai risultati desiderati dall’ideologia medesima. Un esempio potrebbe essere la demonizzazione della produzione antropica di anidride carbonica attraverso la combustione di combustibili fossili indicata incessantemente dai media (nei telegiornali, nei dibattiti, nei documentari, perfino nell’intrattenimento e nella pubblicità di prodotti),  come la causa prima di un riscaldamento globale che dovrebbe portare in pochi anni alla “distruzione” del pianeta. Contrariamente a quanto comunemente si è indotti a pensare, questa conclusione non è affatto “scientificamente provata”, come piace dire ai “giornalisti” main stream, infatti fior di scienziati la negano risolutamente, per esempio il dottor William Happer, professore di fisica a Princeton secondo il quale l’anidride carbonica è effettivamente un gas serra, ma la sua incidenza sul riscaldamento globale  è molto modesta rispetto ai fattori naturali quali quelli astronomici derivanti dalla variabilità della radiazione solare. Happer esprime dubbi sull’uso tendenzioso di modelli computerizzati (i cui risultati sarebbero quasi sempre inattendibili), a fini di propaganda con grande vantaggio di quei settori economici che producono tecnologie “verdi” che vengono propagandate come credibili sostitute di quelle attualmente in azione anche se ciò è tutt’altro che dimostrato. Eppure nessuno di questi dubbi viene mai mostrato al grande pubblico anche se è esattamente sulla loro pelle che viene pensata la “rivoluzione verde”. In realtà il clima della Terra è stato variabile nel corso della sua intera esistenza e nelle ultime decine di migliaia di anni ha sempre subito mutamenti più o meno veloci. I periodi di riscaldamento sono in realtà quelli più favorevoli alla vita delle piante e degli animali e allo sviluppo della civiltà umana. L’anidride carbonica, le cui concentrazioni nell’atmosfera si sono sempre dimostrate oscillanti, non è solo un gas serra, è anche l’ingrediente di base della fotosintesi che è il meccanismo sul quale si fonda tutta la vita del pianeta. Più è alta la concentrazione di anidride carbonica, più la situazione è favorevole per lo sviluppo delle piante, ma questa è una verità molto difficile da sentire in televisione. I sostenitori dell’ideologia verde, che in alcuni casi è diventata una specie di religione con tanto di adepti fanatici e auto flagellanti, sono costretti ad ammettere la variabilità del clima e delle concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera (che sono state nel corso del tempo anche molto superiori alle attuali), ma ribattono che a preoccupare non è tanto l’entità, quanto la velocità del cambiamento che sarebbe insostenibile dall’ecosistema. Naturalmente la velocità è importante, ma storicamente ci sono state variazioni anche molto repentine e veloci del clima: basti pensare alla cosiddetta mini era glaciale del 600 che ha svolto il suo intero ciclo in tempi che dal punto di vista geologico sono praticamente istantanei.

Saltare alle conclusioni senza aver prima esaminato attentamente tutti i fattori, tutti i pro e i contro, può essere estremamente pericoloso. Eppure si prendono a livello mondiale decisioni che, se effettivamente realizzate, avrebbero conseguenze di portata enorme. Per esempio l’azzeramento di emissioni di anidride carbonica entro il 2050. Allo stato attuale della tecnologia e dell’economia mondiale, sembra molto dubbio che otto miliardi di abitanti possano essere sostentati ad emissioni zero. La maggioranza dell’umanità potrebbe non essere compatibile. Il dubbio non è di piccola portata. Chi sostiene questa politica, potrebbe in realtà sostenere che alcuni miliardi di persone sono di troppo, perché un’economia verde ad emissioni zero entro il 2050 non potrebbe in realtà sostenerli. Come possibile effetto collaterale, mi pare qualcosa di piuttosto serio da considerare. Difficile pensare che l’attuale produzione di energia attraverso l’uso di combustibili fossili, possa essere sostituita in tempi così brevi per mezzo delle “tecnologie sostenibili” la cui messa in opera e mantenimento, occorre ricordarlo, presuppongono in realtà l’esistenza data per scontata della attuale capacità produttiva. Soprattutto mantenendo l’attuale livello di vita e l’attuale popolazione. Qualsiasi decisione in merito, per essere sensata, non può essere ideologica o votata agli interessi di ristrettissime élite di potere, ma deve tener conto del bilancio costi benefici di tutta l’umanità. Attualmente tale bilancio appare tutt’altro che favorevole. L’ideologia sadomaso che viene incessantemente propagandata sui media dai nostri geniali giornalisti non ha alcun senso. L’ambiente deve essere salvaguardato in funzione dell’umanità, non a prescindere da essa, gli animali e le piante sono importanti per noi, non per l’universo. Quale sia il sistema ecologico su un granello di sabbia tra miliardi di miliardi di altri granelli è per l’universo perfettamente indifferente: che noi siamo o non siamo, che la Terra stessa sia o non sia è lo stesso, il pianeta e l’umanità sono importanti esclusivamente per noi, eppure non riusciamo a eliminare il vecchio arrogante vizio di crederci Dio, come mostra chiaramente la nostra credenza di essere fatti a sua immagine e somiglianza.

Nestor Halak 

 
La storia è il fondamento di ogni verità PDF Stampa E-mail

16 Dicembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 14-12-2022 (N.d.d.)

Studiare il capitalismo contemporaneo significa considerare il capitalismo attuale e sottrargli il capitalismo fino a una certa data (per me 1977-79). Il risultato della sottrazione è il capitalismo contemporaneo. Poi si può omettere il trentennio glorioso, ossia il trentennio socialdemocratico. In questo caso si tratta di sottrarre al capitalismo contemporaneo il capitalismo fino al 1929 (ma vi furono norme a favore del capitale anche durante il trentennio glorioso, che quindi fu caratterizzato da due direzioni).

In entrambi i casi, è chiaro che la verità sul capitalismo contemporaneo si scopre soltanto studiando LA STORIA. Il presente è il presente meno il passato e dunque implica lo studio del passato. Senza studiare la storia è impossibile conoscere il presente. La storia è il fondamento di ogni verità.

Stefano D’Andrea

 
Nec plus ultra PDF Stampa E-mail

15 Dicembre 2022

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 Da Comedonchisciotte dell’11-12-2022 (N.d.d.)

Nec plus ultra. Non più oltre. Queste parole sarebbero state incise sulle Colonne d’Ercole cioè sul limite estremo del mondo, invalicabile e proibito a tutti i mortali. Impossibile affrontare l’Oceano. Secondo gli antichi, avventurarsi verso Occidente avrebbe significato essere travolti da tempeste violente, come Dante pensava fosse accaduto a Ulisse. E mentre gli antichi sapevano che la terra è tonda, nel medio evo si era diffusa la convinzione che fosse piatta. Fatto sta, che senza mezzi né consapevolezza, prevalgono sempre paura e diffidenza. Al contrario, quando si hanno mezzi pressoché infiniti e consapevolezza di sé, si tende a non aver limiti, e spesso si cerca di imporli agli altri.

Mentre l’imprenditore multimiliardario Elon Musk vuole ottenere il diritto di poter impiantare – entro sei mesi – chip in un cervello umano (che non è il suo) e per questo chiede il permesso all’authority per i farmaci del governo americano, in provincia di Venezia ben 309 panifici rischiano la chiusura causa caro bollette e non solo: Le imprese di panificazione sono sempre più in difficoltà, travolte da una crisi dei consumi e una speculazione sulle materie prime ed energia che sta rendendo sempre più costosa la produzione. Spiega Alessandro Cella, panificatore e presidente della Federazione Alimentazione della Confartigianato Metropolitana Imprese Città di Venezia: Riuscire a calmierare i prezzi alla vendita è sempre più complicato, e con difficoltà i nostri forni stanno continuando a produrre questo bene primario la cui disponibilità e soprattutto accessibilità nel prezzo di vendita non può essere messa a repentaglio da chi speculando su tutto rischia letteralmente di togliere di bocca il pane alla gente. Per questo chiediamo al più presto interventi specifici per far fronte ai rincari di farina, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari. Da oltre due anni le imprese stanno affrontando una situazione di fortissima instabilità, riducendo sempre di più i margini di guadagno per non far mancare questo bene primario sulle nostre tavole, ma davanti i continui aumenti ora le produzioni sono al limite del sostenibile e molte attività rischiano di chiudere. Ecco cosa l’imprenditore Cella chiede al governo italiano: semplicemente che l’economia reale possa continuare a vivere e a produrre pane e lavoro per la propria gente, prima di soccombere alle multinazionali del franchising alimentare.

Nec plus ultra. Non più oltre. Vivere liberamente e degnamente nella propria terra senza più dover emigrare per bisogno. Per questo dovrebbero essere limitati gli Elon Musk e le loro Corporation telepilotate da quei mega fondi di investimento (Blackrock, Vanguard e State Street) che detengono il 90% delle società quotate a Wall Street S&P, ossia delle 500 aziende americane a maggiore capitalizzazione. Sarebbe questo il compito primario degli “Stati democratici”, se non fossero ormai e per la maggior parte, la indiretta espressione dei voleri di quelle multinazionali, di cui sopra, che essi stessi dovrebbero provvedere a limitare.

È questo l’unico mondo possibile: la precaria condizione economica e sociale che viviamo è colpa nostra perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per oltre 40 anni; l’alta disoccupazione è causata dagli immigrati e dagli italiani svogliati; l’elevata propensione al risparmio e la casa di proprietà minano la dinamicità dell’economia e la mobilità nel mercato del lavoro; la pandemia e la crisi sanitaria sono colpa dei no vax; l’esplosione generalizzata e ad ogni età di malori improvvisi è dovuta all’inquinamento; ma il caro bollette è responsabilità di Putin; il riscaldamento climatico c’è, perché siamo in troppi. Eppure siamo troppo pochi e dobbiamo importare immigrati che pagheranno pensioni che altrimenti non avremo più.

Nec plus ultra. Non più oltre. E però c’è chi decide di avventurarsi, di varcare l’Oceano lasciandosi alle spalle i luoghi comuni, gli stereotipi e le etichette, mettendo in discussione il mondo fin qui conosciuto. È la consapevolezza di sé, giustamente senza limiti, ma capita anche questo: a volte si cerca di imporla agli altri. Come se l’intero mondo fosse Occidente, l’unico mondo possibile, in cui la Storia è ormai finita (cit. Francis Fukuyama) e dove tutti quanti i governanti si son messi d’accordo per farci la pelle.

Nec plus ultra. Non più oltre. Parole che delimitavano quel mondo, la paura dell’ignoto, quella parte che oggi conosciamo dopo averla uccisa, estinta, stravolta, colonizzata, sfruttata e ora subita.

Nec plus ultra. Non più oltre. Non conosciamo affatto quelle parti del globo dove attualmente il potere politico (in varie forme e maniere) sembra prevalere su quello economico e finanziario; quegli Stati nazione dove la società naturale, la società tradizionale prevale sulle forme ingegneristiche in atto in Occidente. Dove i rapporti umani e la spiritualità sono in primo piano. Dove magari la sovrastruttura prevale sulla struttura. Dove l’economia è parte della società, ma non è la società. Dove i rapporti economici fanno parte del tutto, ma non sono tutto. Dove l’Uomo è il fine e non il mezzo. Scriveva, nel lontano 2003 – quindi quasi 20 anni fa – Monsignor Gianfranco Ravasi su Avvenire: C’è un’altra via più subdola per ridurre la persona umana in servitù ed è quella del condizionarne la mente, i comportamenti, le scelte riducendola a un soggetto che consuma o che si può manipolare secondo i propri interessi.  Rincara la dose il giornalista e scrittore Massimo Fini nel suo “Manifesto dell’Antimodernità“, cofirmato fra gli altri anche dal filosofo francese Alain de Benoist: Capitalismo e marxismo sono due facce della stessa medaglia. Nati entrambi in occidente, figli della Rivoluzione industriale, sono illuministi, modernisti, progressisti, positivisti, ottimisti, materialisti, economicisti, hanno il mito del lavoro e pensano entrambi che industria e tecnologia produrranno una tale cornucopia di beni da far felice l’intera umanità. Si dividono solo sul modo di produrre e di distribuire tale ricchezza. Questa utopia bifronte ha fallito. L’Industrialismo, in qualsiasi forma, capitalista o marxista, ha prodotto più infelicità di quanta ne abbia eliminata. Per due secoli Capitalismo e Marxismo, apparentemente avversari, in realtà funzionali l’uno all’altro, si sono sostenuti a vicenda come le arcate di un ponte. Ma ora il crollo del marxismo prelude a quello del capitalismo, non fosse altro che per eccesso di slancio. Su questi temi fondanti però si tace o li si mistifica. Anche le critiche apparentemente più radicali si fermano di fronte alla convinzione indistruttibile che, comunque, quello industriale, moderno, è ‘il migliore dei mondi possibili‘. Sia il capitalismo sia il marxismo, nelle loro varie declinazioni, non sono in grado di mettere in discussione la Modernità perché nella Modernità sono nati e si sono affermati. Danno per presupposto ciò che deve essere invece dimostrato.  E conclude: Levate la testa, gente. Non lasciatevi portare al macello docili come buoi, belanti come pecore, ciechi come struzzi che han ficcato la testa nella sabbia. Infondo non si tratta che di riportare al centro di Noi stessi l’uomo, relegando economia e tecnologia al ruolo marginale che loro compete. (…) Abbiamo bisogno di forze fresche, vogliose, determinate, di uomini e donne stufi di vivere male nel “migliore dei mondi possibili“.

Nec plus ultra. Non più oltre: queste parole potrebbero essere ancora incise sulle nuove Colonne d’Ercole a baluardo della nostra mentalità. Impossibile affrontare e confrontarsi pensando che ci possano realmente essere, nel nostro presente, Stati – nazione non allineati, società diverse che non siano come noi. Mentre gli antichi sapevano che la terra è tonda, nel medio evo si era diffusa la convinzione che fosse piatta, oggi che è tutta uguale e magari governata da una stanza. Comunque sia, senza mezzi né consapevolezza, prevalgono sempre paura e diffidenza. Al contrario, quando si hanno mezzi pressoché infiniti e consapevolezza di sé, si tende a non aver limiti e si cerca di imporli. A chi ha la curiosità, l’altruismo di conoscere e scoprire gli altri, i loro sistemi e le loro culture. Per cooperare, tra pregi e difetti, e non fare guerre. Si chiamino oggi Brics o Brics+, poco importa. Modernità o meno, è il capitalismo che ci ha trasformato e ridotto così: tanti individui, tanti solisti, senza più una società. Che si chiami nuovo socialismo o altro, manca l’alternativa: sta anche a noi andare oltre l’Orizzonte per capire cosa c’è davvero e ciò che potremmo realizzare qui. Sta a noi superare noi stessi. A partire dalla solidarietà e dal ritrovare il rispetto reciproco: il distanziamento sociale è iniziato molti anni prima del Covid, e non per decreto.

Sappiamo di non sapere, di non conoscere e già questa è una buona base per affrontare il Nuovo Mondo, ovvero ciò che sta nascendo dalle macerie d’Occidente.

Jacopo Brogi

 

 
La grande sconfitta è la verità PDF Stampa E-mail

14 Dicembre 2022

 Da Rassegna di Arianna del 12-12-2022 (N.d.d.)

Io credo che per tutti noi sarebbe saggio sospendere ogni giudizio sulle infinite atrocità che stanno dilagando nel mondo. Di sospenderlo perché del tutto privi di informazioni obiettive su quanto accade in Israele, in Ucraina, in Iran, in India. La grande sconfitta di questo periodo è la verità. È il sistema mediatico ad essere collassato, ridotto a pubblicità progresso. Il sistema mediatico punta sul sentimento, ad annullare la capacità di discernimento, a creare la spirale del silenzio per chi ha domande, mira a impedire che le crepe delle narrazioni possano essere portate alla luce.

Io sospenderei il giudizio. Non so nulla di quello che sta succedendo, non posso distinguere una rivolta di popolo da una rivoluzione arancione sponsorizzata dai soliti servizi angloamericani. In questi anni abbiamo visto come tutte le nostre indignazioni fossero state costruite. Le fosse comuni nella ex Jugoslavia costruite dai servizi segreti inglesi, la prova di armi chimiche in mano a Saddam inventate da americani e da quel progressista di Tony Blair, gli accordi di Minsk fatti per imbrogliare i russi e avere il tempo di riempire di armi l’ucraina.

Forse la prima richiesta, la prima esigenza, prioritaria persino alla giustizia, è il diritto a sapere in che mondo viviamo. E non lo sappiamo affatto.

Vincenzo Costa

 
Astrazione PDF Stampa E-mail

13 Dicembre 2022

L’interesse personale ci impone la separazione e la diversità dall’altro, nonché la somiglianza, se questa ci eleva. L’interesse personale è un prodotto dell’identificazione di noi stessi con il nostro io. Questo è una incastellatura che gli ambienti culturali di cui risentiamo hanno montato e montano con silente pazienza. Così pensiamo di essere realmente il nome che portiamo, il titolo che abbiamo, il ruolo che svolgiamo nei luoghi privati e sociali che frequentiamo. Ne scaturisce una dimensione effimera della realtà. Ovvero la sua presunta oggettività. Nonché l’idea che il sapere cognitivo, lo studio, l’erudizione, la scienza possano portarci a scoprire verità come, per esempio, “la più piccola parte della materia”. Effimera, in quanto lo spirito che tutto genera rimane sopito sotto il peso greve della concezione materialistica della vita e del cosmo. In quanto non ci avvediamo di essere noi stessi, con il nostro sterile pensiero, ad aver creato ciò che riteniamo di osservare neutralmente. Sterile, poiché abbiamo generato un criterio di conoscenza esaurito nella misurazione, soggiogato dalla disgraziata idea che il nostro pensiero abbia il diritto assoluto e definitivo di porsi sul trono della conoscenza. Non vediamo l’autoreferenzialità delle affermazioni che esprimiamo, loro argomentazioni a sostegno incluse. Non riconosciamo in esse un imperativo categorico dell’io, obbligato a ciò per alimentare la sua struttura e il suo dominio su noi. Un frutto a cui cediamo tutta la nostra energia al fine della sua sopravvivenza, nonché della sua difesa. Se necessario, fino al conflitto o all’adeguamento o alla frustrazione, qualora un’affermazione opposta dovesse avere la meglio sulla nostra. Un gioco delle tre carte dal quale usciamo sempre perdenti. Nel quale si trova la sede della sofferenza e delle malattie. Quantomeno, fino alla scoperta del proprio sé. Fino all’emancipazione dall’io e dal suo potere, momento nel quale potremo disporre dell’energia, prima regalata, a vantaggio della vita ora nostra e creativa. Non più ordinata e dipendente da cliché altrui, né dal pensiero debole e uniformato o dall’apparenza. Senza quell’emancipazione, non vediamo che la burrasca di malessere/benessere dipende dall’io. Se soddisfatto ci beiamo; se insoddisfatto, alienato, violentato, umiliato, ne soffriamo.

Nonostante la pesca a strascico che la rete dell’attuale cultura raschia sui fondali delle nostre vite, qualcuno si trova nelle circostanze adatte per prendere coscienza che un altro ordine delle cose sia possibile. Che quello che ci viene inconsapevolmente imposto non è il solo, come ci ripetono e costringono a farci credere. Che ha un limite oltre il quale si inceppa, come cadesse oltre il profilo della sua piatta terra. Si tratta della presa di coscienza della artificiosa ed effimera natura dell’io. Un passo che, contemporaneamente, comporta il riconoscimento del proprio sé. Quello che Jung ha chiamato individuazione. Quel luogo in cui troviamo noi stessi. Quello che fanfare e gran pavesi culturali, scientisti, razionalisti, etici, irresponsabili fautori del mito della conoscenza cognitiva, quale sola e rispettabile, ci impediscono di vedere. Costi quel che costi. Ed ecco, allora, i giovani suicidi perché tenuti fuori da gruppi social. Persone che, per eccellenza, rappresentano l’ultimo campione di una concezione di sé, del mondo, della vita, che dire superficiale non basta, in quanto anche autodistruttiva, esiziale. Chi ha l’opportunità di vivere certe consapevolezze, di vedere più in profondità ciò che ci muove, riconosce senza sforzo le ragioni storiche del mondo che abbiamo e le legittima. Ma, contestualmente, si avvede della dimensione spirituale che in esse manca. E la auspica. Ha chiaro ciò che è effimero e impermanente e, viceversa, ciò che è imperituro e sostanziale. Ciò che ci distingue e ciò che rende identici. Riconosce cioè la struttura dell’io. Non se ne libera, in quanto la vita nella storia non lo permette, ma se ne emancipa. Non si fa più dominare e inconsapevolmente succhiare energie da ciò che sa e che deve, ma si muove secondo quanto sente.

Per gli interessati a questi temi è necessario precisare che il culmine del discorso non indica, né comporta, buttare a mare tutto e votarsi a mistica santità. Tutt’altro. Significa adottare scelte e pensieri corrispondenti alla nostra natura e talento, i soli idonei alla nostra realizzazione e felicità. Ideali per rischiare di realizzare al meglio le progressioni che ci stanno a cuore. Significa anche adeguarsi, ma senza più alienazione, frustrazione, mortificazione e prevaricazione del brutto e del cattivo nella nostra esistenza. Nonché alzare al massimo il rischio di realizzare una cultura e, quindi, una società diversamente ordinata da quella creata dai pensieri egoici che ci avviluppano. Non si tratta, perciò, in nessun modo, di reprimere le passioni e l’implicita identificazione col fare e progettare, ma di elevare al massimo l’invulnerabilità e il mantenimento della capacità di riconoscimento e accettazione di posizioni differenti. Significa conoscenza empatica, educazione all’ascolto, riconoscimento di noi nell’altro, consapevolezza della creazione del mondo, dell’identicità degli uomini, della circolarità del tempo, della sua variabilità in funzione del sentimento e dello stato di benessere/malessere. Tutti aspetti oggi misconosciuti, quando non derisi. Significa tolleranza autentica, capacità di legittimazione, consacrazione del principio di reciprocità, assegnazione di pari dignità a quella che chiediamo all’altro per noi stessi. E, anche forza sufficiente per rifiutare l’ipocrisia e la menzogna come ordinari elementi del nostro dire nelle relazioni e nella vita. Significa accettazione di sé e, dunque, disponibilità del necessario per migliorarci, per non nasconderci più dietro quelle bugie, finzioni, simulazioni e dissimulazioni. Significa saper esprimere i nostri sentimenti e non negare le nostre emozioni. Significa sapere cosa è adatto a noi e cosa è opportuno tenere alla larga; e sarà una discriminazione energetica. Perché di energia cosmica è costituito il nostro sé. Significa astrazione, perché le forme fanno la storia ma la vita è una soltanto.

Lorenzo Merlo

 
Colpa delle mucche PDF Stampa E-mail

12 Dicembre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 3-12-2022 (N.d.d.)

Il 13 novembre, il G20 – i rappresentanti delle 20 nazioni più influenti, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Unione Europea (anche se non è una nazione), la Germania, l’Italia, la Francia, il Giappone, la Corea del Sud, la Cina e diversi Paesi in via di sviluppo, tra cui l’India, l’Indonesia e il Brasile – ha approvato una dichiarazione finale. Il primo, importante punto è un “appello per una trasformazione sempre più rapida verso un’agricoltura sostenibile e resiliente e verso sistemi e catene di approvvigionamento alimentare.” Inoltre, occorre “lavorare insieme per produrre e distribuire cibo in modo sostenibile, garantire che i sistemi alimentari contribuiscano meglio all’adattamento e alla mitigazione dei cambiamenti climatici, arrestare e invertire la perdita di biodiversità, diversificare le fonti alimentari...” Hanno poi chiesto “un commercio agricolo inclusivo, prevedibile e non discriminatorio, basato sulle regole dell’OMC.” Inoltre, “ci impegniamo a sostenere l’adozione di pratiche e tecnologie innovative, compresa la modernizzazione digitale nell’agricoltura e nei sistemi alimentari, per migliorare la produttività e la sostenibilità in armonia con la natura…” Poi arriva la dichiarazione rivelatrice: “Ribadiamo il nostro impegno a raggiungere l’azzeramento globale delle emissioni di gas serra/neutralità del carbonio entro o intorno alla metà del secolo.” “Agricoltura sostenibile” con “emissioni nette di gas serra pari a zero” è un tipico linguaggio orwelliano. Per un estraneo alla linguistica delle Nazioni Unite, le parole suonano fin troppo bene. In realtà, ciò che viene promosso è una radicale distruzione dell’agricoltura a livello globale nel nome di un’”agricoltura sostenibile.”

A pochi giorni di distanza dalla conclusione del G20 di Bali, si è tenuto in Egitto l’incontro annuale del Cop27, il vertice sul clima dell’Agenda verde delle Nazioni Unite. In quella sede, i rappresentanti della maggior parte dei Paesi dell’ONU, insieme a Greenpeace e centinaia di altre ONG verdi, hanno redatto un secondo appello. Il Cop27 ha lanciato un’iniziativa denominata FAST [Food and Agriculture for Sustainable Transformation], la nuova agenda delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura per una trasformazione sostenibile. FAST, nel senso di “astenersi dal cibo…” Secondo Forbes, FAST promuoverà un “passaggio a diete sane, sostenibili e resistenti al clima e contribuirà a ridurre i costi della salute e del cambiamento climatico facendo risparmiare fino a 1.300 miliardi di dollari, sostenendo la sicurezza alimentare di fronte al cambiamento climatico.” Stiamo parlando di cifre importanti. Una riduzione di 1.300 miliardi di dollari dei costi legati al cambiamento climatico con la transizione verso “diete sane, sostenibili e resistenti al clima.” Cosa c’è davvero dietro tutte queste parole?

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, che ha rilasciato una dichiarazione alla Reuters durante il Cop27, entro un anno la FAO lancerà un progetto “gold standard” per la riduzione dei cosiddetti gas serra provenienti dall’agricoltura. L’impulso per questa guerra all’agricoltura proviene, non a caso, dai grandi capitali, dalla FAIRR Initiative, una coalizione di gestori di investimenti internazionali con sede nel Regno Unito che si concentra sui “rischi e le opportunità materiali ESG [Environmental Social and Governance] legati all’allevamento intensivo di bestiame.” Tra i suoi membri figurano i più influenti attori della finanza globale, tra cui BlackRock, JP Morgan Asset Management, la tedesca Allianz AG, Swiss Re, HSBC Bank, Fidelity Investments, Edmond de Rothschild Asset Management, Credit Suisse, Rockefeller Asset Management, UBS Bank e numerose altre banche e fondi pensione che gestiscono un patrimonio totale di 25.000 miliardi di dollari. Ora hanno dichiarato guerra all’agricoltura, proprio come avevano fatto con l’energia. Il vicedirettore della FAO per le politiche sul cambiamento climatico, Zitouni Ould-Dada, ha dichiarato durante il Cop27: “Non c’è mai stata tanta attenzione per il cibo e l’agricoltura prima d’ora. Questo vertice COP è sicuramente quello giusto.“ La FAIRR sostiene, senza alcuna prova, che “la produzione di cibo è responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di gas serra ed è la principale minaccia per l’86% delle specie mondiali a rischio di estinzione, mentre gli allevamenti di bestiame sono responsabili della perdita di tre quarti della foresta amazzonica.” La FAO intende proporre una drastica riduzione della produzione zootecnica mondiale, in particolare dei bovini, che, secondo la FAIRR, sarebbero responsabili di “quasi un terzo delle emissioni globali di metano legate all’attività umana, derivanti dalle emissioni gassose dei bovini, dal letame e dalle coltivazioni di prodotti da mangimi.” Per loro, il modo migliore per eliminare i rutti e le deiezioni delle mucche è abbattere i bovini.

Il fatto che la FAO stia per rilasciare una tabella di marcia per ridurre drasticamente i cosiddetti gas serra provenienti dall’agricoltura globale, con la falsa pretesa di promuovere un’”agricoltura sostenibile,” guidata dai più grandi gestori di patrimoni del mondo, tra cui BlackRock, JP Morgan, AXA e altri, la dice lunga su quella che è la vera agenda. Si tratta di alcune delle istituzioni finanziarie più corrotte del pianeta. Non investono mai un centesimo dove non siano garantiti enormi profitti. La guerra all’agricoltura è il loro prossimo obiettivo. Il termine “sostenibile “era stato creato dal maltusiano Club di Roma di David Rockefeller. Nel suo rapporto del 1974, Mankind at the Turning Point, il Club di Roma sosteneva che: Le nazioni non possono essere interdipendenti senza che ciascuna di esse rinunci ad una parte della propria indipendenza o almeno ne riconosca i limiti. È giunto il momento di elaborare un piano generale per una crescita organica e sostenibile e per uno sviluppo mondiale basato sull’allocazione globale di tutte le risorse limitate e su un nuovo sistema economico globale. Questa era stata la prima formulazione dell’Agenda 21 delle Nazioni Unite, dell’Agenda 2030 e del Grande Reset di Davos del 2020. Nel 2015 i Paesi membri dell’ONU avevano adottato i cosiddetti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile o SDG: 17 obiettivi per trasformare il nostro mondo. L’obiettivo N° 2 era “Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile.” Ma, se leggiamo nel dettaglio le proposte del Cop27, del G20 e del WEF di Davos di Klaus Schwab scopriamo qual è il vero significato di queste belle parole. Ora siamo inondati di previsioni, non verificate, provenienti da think tank finanziati da governi e privati, secondo cui i nostri sistemi agricoli sarebbero una delle principali cause del riscaldamento globale. Proprio così. Stiamo parlando non solo di CO2, ma anche di metano e azoto. Tuttavia, l’intera argomentazione sui gas serra globali, secondo cui il nostro pianeta andrà incontro ad un disastro irreversibile se non ridurremo radicalmente le nostre emissioni entro il 2030, è un’assurdità non verificabile, frutto di modelli informatici assai poco trasparenti. Sulla base di questi modelli, l’IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change] delle Nazioni Unite insiste sul fatto che, se non riusciremo a contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C rispetto ai valori del 1850, nel 2050 il mondo finirà.

Nel 2019, l’ONU e il WEF di Davos avevano collaborato alla promozione degli SDG dell’Agenda 2030 dell’ONU. Sul sito web del WEF si ammette apertamente che il loro obiettivo è quello di sbarazzarsi delle fonti proteiche della carne, promuovendo la carne coltivata in laboratorio e le proteine alternative, da formiche, grilli o vermi, per sostituire il pollo, il manzo o l’agnello. Al Cop27 si è discusso di “diete che possano rimanere entro i limiti del pianeta e che consentano la riduzione del consumo di carne, lo sviluppo di alternative alimentari e la promozione di un maggior numero di piante, colture e cereali autoctoni (riducendo così l’attuale dipendenza da grano, mais, riso e patate).” Il WEF promuove il passaggio dalle diete proteiche a base di carne a quelle vegane, sostenendo che sarebbero più “sostenibili.” Promuove anche alternative con carne coltivata in laboratorio o a base vegetale, come l‘Impossible Burger, finanziato da Bill Gates, che, secondo i test della FDA, è probabilmente cancerogeno in quanto prodotto con soia OGM e altri cereali saturi di glifosato. Lisa Lyons, l’amministratrice delegata di Air Protein, un’altra azienda produttrice di carne finta, è una consulente speciale del WEF. Il WEF promuove anche le proteine degli insetti come alternative alla carne. Si noti anche che Al Gore è un fiduciario del WEF. La guerra all’allevamento degli animali da carne sta diventando una cosa seria. Il governo dei Paesi Bassi, il cui primo ministro Mark Rutte, ex Unilever, è un collaboratore del WEF, ha creato un ministero speciale per l’ambiente e l’azoto, con a capo Christianne van der Wal. Utilizzando le linee guida Natura 2000 dell’Unione Europea per la salvaguardia dell’ambiente naturale, linee guida superate, mai prese in considerazione, progettate presumibilmente per “proteggere muschio e trifoglio” e basate su test fraudolenti, il governo olandese ha appena annunciato la chiusura forzata di 2.500 allevamenti di bestiame in tutto il Paese. L’obiettivo è costringere il 30% degli allevamenti a chiudere o a subire un esproprio.

 

In Germania, l’Associazione tedesca dell’industria della carne (VDF) sostiene che, nei prossimi quattro-sei mesi, la Germania dovrà affrontare una carenza di carne e che quindi i prezzi saliranno alle stelle. Hubert Kelliger, membro del consiglio di amministrazione della VDF, ha dichiarato: “Tra quattro, cinque, sei mesi avremo dei vuoti sugli scaffali.” Si prevede che la carenza più grave riguarderà la carne suina. I problemi nella produzione di carne sono dovuti all’insistenza di Berlino nel voler ridurre il numero di capi di bestiame del 50% per ridurre le emissioni responsabili del riscaldamento globale. In Canada, il governo Trudeau, un altro prodotto del WEF di Davos, secondo il Financial Post del 27 luglio, prevede di ridurre del 30% entro il 2030 le emissioni causate dalla produzione di fertilizzanti, come parte di un piano per arrivare a zero emissioni nei prossimi tre decenni. Ma i coltivatori sostengono che, per raggiungere questo obiettivo, potrebbero dover ridurre significativamente la produzione di cereali. Quando, nell’aprile 2021, il presidente autocratico dello Sri Lanka aveva vietato tutte le importazioni di fertilizzanti azotati, in un brutale tentativo di tornare ad un passato di agricoltura “sostenibile,” in sette mesi i raccolti erano crollati e la carestia, la rovina degli agricoltori e le proteste di massa lo avevano costretto a fuggire all’estero. Aveva voluto che l’intero Paese passasse immediatamente all’agricoltura biologica, ma non aveva fornito agli agricoltori alcuna formazione in merito. Se a tutto questo si aggiunge la catastrofica decisione politica dell’UE di vietare il gas naturale russo utilizzato per la produzione di fertilizzanti azotati, con la conseguente chiusura degli impianti per la produzione di fertilizzanti in tutta l’UE, che, a sua volta, causerà una riduzione globale della resa dei raccolti, e la falsa ondata di influenza aviaria che sta costringendo gli allevatori del Nord America e dell’UE ad abbattere decine di milioni di polli e tacchini, per citare solo qualche altro caso, diventa chiaro che il nostro mondo si troverà a dover affrontare una crisi alimentare senza precedenti. Tutto per il cambiamento climatico?

F. William Engdahl (tradotto da Markus)

 
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